Il “pianeta” fegato grasso nella pratica clinica
Dalla diagnosi alla terapia

Nella tradizione popolare le malattie del fegato sono sempre state correlate alla “cattiva alimentazione”, quasi come dovuta e necessaria punizione agli eccessi della tavola.
Ancora oggi quando un paziente apprende di essere affetto da patologia epatica immediatamente rinuncia – spontaneamente o viene indotto a rinunciare – ai più svariati alimenti quali, ad esempio, i grassi, le fritture, le uova, diverse verdure, etc..
Per anni abbiamo assistito alla progressiva malnutrizione del paziente epatopatico, nella cui genesi certamente hanno influito carenze dietetiche; attualmente, pur in presenza di un numero sempre inferiore di pazienti clinicamente malnutriti, spesso si verifica una malnutrizione “subclinica”, caratterizzata da deficit o da squilibri di micronutrienti o sostanze biologicamente attive, in conseguenza di un introito qualitativamente errato.
L’avvento dei virus epatitici maggiori (HBV, HDV, HCV) ha spostato in parte l’interesse sul rapporto alimenti/fegato soprattutto nella classe medica, anche perché la maggior parte delle risorse umane e finanziarie sono state indirizzate allo studio di farmaci antivirali o di tecniche di vaccinazione.
Abbiamo così elaborato e recepito classificazioni del danno epatico principalmente volte a valutare l’entità della flogosi o della fibrosi a livello istologico, relegando il “fegato grasso” nell’esclusivo capitolo dei danni epatici da alcol. Tuttavia, già con il virus C alcune cose sono cambiate, in quanto in numerosi pazienti l’epatite cronica da HCV si associa a gradi variabili di steatosi epatica, ma il quadro generale dei danni cronici del fegato ha subito sempre più modifiche negli ultimi anni, durante i quali molte forme di cirrosi cosiddetta “criptogenetica” sono state inquadrate come conseguenza dell’obesità.
Il sovrappeso corporeo e la sindrome metabolica vengono riconosciuti come fattori implicati nell’insorgenza del fegato grasso e nella sua evoluzione a partire da forme apparentemente benigne quali la steatosi, fino alla cirrosi e all’epatocarcinoma, attraverso la steatoepatite con gradi variabili di fibrosi.
Tale quadro istologico, oltre che entità nosologica a sé stante in assenza di altre cause note di danno epatico, viene altresì considerato un cofattore importante di gravità di malattia in presenza di infezioni da virus epatitici e/o di alcol. In questo contesto assumono un ruolo fondamentale, quale “terapia eradicante” l’infezione, i farmaci antivirali e l’abolizione dell’uso di alcol, indispensabile presidio terapeutico, ma entrambi spesso insufficienti in assenza di modifiche degli squilibri metabolici.
L’importanza di tale patologia, “emergente” anche in Italia, è documentata dal crescente numero di studi, condotti sia su popolazione adulta che pediatrica sull’argomento, nonché dalla costante presenza di relazioni su tale tema in tutti i congressi di soggetto epatologico e/o internistico.

Descrizione

Autori Alessandro Federico, Carmela Loguercio
Pubblicato da Giuseppe de Nicola Editore
Data di pubblicazione 2005
Luogo di pubblicazione Napoli
Paese di pubblicazione Italia
© Giuseppe de Nicola Editore
Lingua del testo Italiano
Legatura Rilegato
Dettagli 16°

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