Nel cuore dell’Africa la Somalia, un tempo colonia italiana, è una terra che ha visto più di una storia raccontata nei libri o riportata nelle notizie, e per Marco Prete è stata a lungo un luogo distante, un nome su una mappa, un’eco di racconti storici, un paese conosciuto solo attraverso i libri di storia.
“Operazione Ibis. La mia Somalia trenta anni dopo” nasce dal desiderio di condivisione di un viaggio inaspettato, un percorso iniziato nella tranquilla vita accademica di un medico radiologo a Firenze e le occasionali conversazioni con gli studenti somali, e trova la sua realizzazione in una terra di contrasti e sfide, riportando la memoria ad un particolare momento storico in cui il dovere e la resilienza convergevano in una missione che doveva portare speranza, fornire aiuti e confortare la popolazione della Somalia colpita da sofferenze e privazioni dopo anni di guerra civile e di carestia.
Attraverso l’obiettivo fotografico l’autore, all’epoca uno degli ufficiali medici dell’Esercito inviato in missione, cercò e trovò gli “scatti” per catturare quelle immagini che, riviste oggi, sono un invito a guardare indietro nel tempo per chi appartiene a quella generazione e un invito alla memoria per i più giovani.
Sono trascorsi 30 anni da quando il 13 dicembre 1993, nell’ambito dell’operazione umanitaria multinazionale “Restore Hope”, i primi reparti italiani iniziarono ad affluire in Somalia. Successivamente, la “Restore Hope” assumeva la fisionomia di missione ONU: in quella occasione i medici dell’esercito, coadiuvati dalle altre figure professionali sanitarie, prestarono la loro assistenza alla popolazione civile con oltre 200.000 visite mediche, 560 interventi chirurgici, 9.000 giornate di ricovero.

In “La mia Somalia”, Marco Prete ha cercato di catturare non solo la realtà cruda di una nazione in lotta ma anche i momenti di quotidiana umanità, gli sguardi di speranza e la resilienza di un popolo che affronta ogni giorno sfide inimmaginabili.
Queste pagine sono un racconto fotografico e un diario emotivo di un viaggio che gli ha cambiato la vita.
Ogni immagine è un ricordo, un momento impresso nel tempo, un frammento di realtà che continua a vivere oltre il suo istante, delineando quel legame viscerale e profondo che lega chi in Africa ha vissuto esperienze “forti”, a contatto con la realtà della gente comune, dei problemi, dell’ambiente infinito dei paesaggi… ciò che comunemente viene chiamato “mal d’Africa”.